23/02/15

Birdman: vivere e morire a Broadway



23 Febbraio 2015, poche ore fa sono stati assegnati i premi Oscar agli Academy Awards. Vincitore incontrastato è Birdman, opera di Alejandro González Iñárritu capace di portarsi a casa quattro importantissime statuette: miglior film, miglior regia, miglior sceneggiatura originale e miglior fotografia. Davvero niente male.
Che i premi ottenuti siano meritati o meno, rispetto anche agli altri candidati in gara, è soggettivo e non ci interessa particolarmente. Ciò che importa è che Birdman è un prodotto importante ed una ventata d'aria fresca, capace di veicolare riflessioni e far respirare vero "Cinema" a spettatori bombardati da cinquanta sfumature di prodottucoli usa e getta.



Il regista messicano (artefice di Amores Perros, 21 Grammi, Babel, Biutiful) ci regala un'opera impegnativa e a tratti snervante, portatrice sana di un disagio esistenziale che attanaglia il cinema moderno e le celebrità che da esso si sviluppano, incapaci di vivere realmente al di fuori del palcoscenico e dei personaggi che vi interpretano.

Efficace e azzeccata la scelta di continui piani sequenza, in grado di avvicinare quanto più possibile lo spettatore all'attore, così da mettere in luce i controsensi della luminosa oscurità di Broadway (e di Hollywood, chiaramente).

Deliziose le interpretazioni degli attori, su tutti Michael Keaton ed Emma Stone: solitamente comprimari, in Birdman risultano in stato di grazia e danno vita a due personaggi perfetti nella loro fragilità, capaci di emozionare ed emozionarsi fottendosene di ciò che gira loro intorno.

Anche il resto del cast (Norton su tutti) è in grande spolvero, evidentemente coinvolto dall'ambizioso progetto di Iñárritu.


Più che una critica autocompiaciuta alla vacuità dello showbiz, ho sentito maggiormente Birdman come un grido di aiuto di tutti quegli attori fagocitati dai loro personaggi (Heath Ledger su tutti), riconosciuti dal pubblico soltanto con indosso una maschera che rivela la finzione e nasconde quanto di vero e genuino la persona possa trasmettere. A tale proposito è emblematico il rapporto tra Riggan (Keaton) e il supereroe Birdman, palla al piede che quotidianamente lo assilla e che, al tempo stesso, lo libera da certe preoccupazioni permettendogli di "volare" oltre gli ostacoli e "distruggere" la deprimente negatività propria del protagonista.

A rendere la pellicola ancor più riuscita ci pensa un comparto tecnico di prim'ordine, in cui fotografia e colonna sonora viaggiano sugli stessi binari in una singhiozzante rincorsa alla verità sottostante, alla reale faccia di Broadway una volta caduti gli ultimi lustrini e lavati via i trucchi.

Il regista messicano vola alto, molto alto, rischiando a volte di appesantire il prodotto ripetendo il messaggio cardine più e più volte; la ridondanza di certi momenti va probabilmente associata alla routinaria vita di teatro, a quei rituali dello spettacolo che ingabbiano gli attori e li rendono schiavi di un sistema che li nutre e si nutre di loro, svuotandoli poco a poco in una continua ricerca della fama.


In una società in cui il successo è dettato dalle visualizzazioni su youtube e dai tweet, è sicuramente benvenuto un film che se ne fa beffe sputando nel piatto dove mangia e regalandoci una visione disincantata del sogno americano, mettendo a nudo pregi e difetti di una realtà fin troppo artefatta, dove in troppi si sentono sicuri solo dietro ad una maschera che copre loro il volto e l'anima.
Infine si può discutere ore ed ore sul significato dell'ultima scena ma, comunque la si voglia interpretare, essa riesce a chiudere il cerchio concludendo degnamente un film da ricordare.

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